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Ci sono dei luoghi dove si ha la sensazione di essere fuori dal tempo e dallo spazio, dove si ha quasi l’impressione di trovarsi dentro un’opera di Nicolas Poussin o Claude Lorrain. In questi luoghi i silenzi parlano all’anima mentre scopriamo di essere ancora in grado di ascoltare quell’immenso ed armonico concerto che è la Natura. I paesaggi sono così incontaminati e perfetti che pare d’essere in un enorme presepe vivente, solo che in questo caso non si tratta di finzione: il cielo è talmente blu che rifulge del suo magnifico splendore, i colori sono più caldi che altrove e il tempo invece che intristire si compiace di rendere tutto più dolce e romantico. La città – con tutto il suo mondo smisurato – è a poca distanza, ma allo stesso tempo non potrebbe essere più lontana. Certo, la città ci piace proprio per quello che è: trafficata, moderna, confusionaria, affollata, veloce e – perché no? – piena di opportunità e tentazioni. La città ci lascia accarezzare l’idea di essere “al centro del mondo”, ci piace la prospettiva di poter prendere un aereo ed in poche ore arrivare dall’altra parte della Terra e contemporaneamente incontrare un “pezzetto di mondo” senza allontanarsi troppo da casa. Eppure a volte non abbiamo bisogno né di un aereo né di una metropolitana per scoprire posti nuovi, ci basta ricordare che esiste ancora un’Italia autentica, nascosta e segreta che attende solo di essere svelata ed assaporata. Queste località hanno sovente una notevole cultura culinaria, caratterizzata dall’eccellente qualità dei prodotti, dal loro uso sapiente e dall’estrema semplicità. Non fa eccezione la classica Cacio e Pepe, emblema – anche oltre oceano – dell’eccellenza e della semplicità della Cucina Italiana.
Questo è uno dei piatti più antichi e poveri che ci tramanda la tradizione romanesca e laziale. I pastori portavano nei loro zaini del pecorino stagionato, sacchetti con del pepe nero in grani e spaghetti fatti in casa con solo acqua e farina. Da questi tre ingredienti essenziali nasceva la Cacio e Pepe: il pecorino stagionato poiché si manteneva a lungo, il pepe aiutava a riscaldare l’organismo e la pasta forniva il giusto apporto calorico. Quando si ammazzava il maiale e qualche pastore aveva del guanciale secco, lo si ripassava nella padella di ferro aggiungendolo allo strutto. Nasce così la Gricia o Griscia (da Grisciano, vicino Amatrice), universalmente riconosciuta come antenata dell’Amatriciana. Quella che propongo oggi è una versione un po’ speciale, ho pensato infatti di arricchire il piatto con uno degli ingredienti che amo di più: i funghi.
Ingredienti:
200 gr di linguine
120 gr di pecorino romano
200 gr di champignon puliti ed affettati
40 gr di porcini secchi
80 gr di pancetta
1 spicchio d’aglio
Un pizzico di erbe aromatiche (io ho usato timo, maggiorana e origano)
½ bicchiere di vino bianco
Sale qb
Pepe nero qb
Olio EVO qb
Prima di tutto lasciamo rinvenire i funghi porcini secchi in una terrina di acqua tiepida per una ventina di minuti. Trascorso questo tempo rosolare la pancetta con l’aglio e due cucchiai d’olio. dopo qualche minuto aggiungere gli champignon affettati e i funghi porcini. Alzare la fiamma, versare il vino e lasciar evaporare. Aggiungere sale e pepe a piacere e lasciar cuocere a fuoco vivace. Ultimata la cottura aggiungere un pizzico di erbe aromatiche. Una volta che i funghi sono intiepiditi prelevarne circa 2/3 e frullarli fino ad ottenere una crema. Mettere in una terrina il pecorino romano insieme al pepe nero, aggiungere la crema di funghi e mescolare. Cuocere la pasta ed “alzarla” al dente, (non buttare via l’acqua!) versare le linguine nella terrina ed aggiungere un mestolo scarso dell’ acqua di cottura. Aggiungere i funghi rimasti con la pancetta e amalgamare bene il tutto (unire all’occorrenza un altro pochino di acqua della pasta). Servire immediatamente, mentre la pasta è ancora caldissima.